Quando il tamburo smette di battere: 2025 rischia la fibrillazione, il 2026 deciderà chi resta in piedi
Uno sguardo nello specchietto retrovisore (sì, è pieno di graffi)
Nel ’29 Wall Street finì in
ginocchio; negli anni ’70 bastò il prezzo del petrolio per far tremare
mezzo pianeta. Nel 1998 toccò al fondo Long-Term Capital Management, guidato, pensa un po’, da due Nobel freschi di cerimonia, che girava leve a 25-a-1
sul mercato dei Treasury. Morale: in poche settimane bruciò 4,6
miliardi di dollari e la Fed dovette orchestrare un salvataggio lampo
con 14 banche al tavolo.
Poi arrivò il credit-crunch 2008,
seguito dal “dash-for-cash” di marzo 2020, con il rendimento del
decennale che schizzò dallo 0,4 % all’1,2 % in cinque sedute mentre
tutti vendevano Treasury per fare cassa.
Oggi: motore acceso, marcia in folle
ISM fra 46 e 50 → il motore gira, ma la macchina non parte
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Che cos’è l’ISM? Un sondaggio mensile fra direttori acquisti delle fabbriche USA. Se l’indice sta sopra 50 vuol dire che la produzione cresce, sotto 50 segnala contrazione.
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Perché 46-50 è strano? Restare così a lungo in quella fascia è come tenere il motore acceso col cambio in folle: il sistema ha energia (occupazione ancora buona, banche centrali pronte a tagliare), però le aziende non pigiano l’acceleratore sugli ordini.
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Tradotto: l’industria non è in recessione nera, ma neppure vede la luce: aspetta che cali l’incertezza (tassi, dazi, domanda estera).
Dazi +20 % (e oltre) → bastone fra le ruote agli scambi
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Cosa ha fatto Washington? Ha imposto un rincaro doganale generalizzato del 54 % su tutte le importazioni cinesi e maxi-tariffe, oltre il 100 %, sui prodotti provenienti da filiere “sensibili”.
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Perché pesa tanto? Gli scambi USA-Cina valgono ancora centinaia di miliardi l’anno. Se diventano troppo costosi, le aziende tagliano volumi o cercano fornitori altrove (che all’inizio costa comunque di più).
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La stima WTO: con questi dazi il commercio mondiale 2025 potrebbe perdere l’1 % e l’interscambio bilaterale crollare addirittura dell’80 %. Meno container = meno ordini = ISM che resta moscio.
Dollar Index < 105 & Treasury ≈ 4 % → paura di crescita debole
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Dollar Index sotto 105: significa che il biglietto verde si è indebolito un po’ rispetto al “cestino” di valute (euro in primis). È successo dopo il primo taglio-tassi della BCE: gli investitori hanno scommesso che anche la Fed, prima o poi, dovrà ammorbidire la stretta.
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Decennale al 4 % (e non più su): se l’inflazione fosse la minaccia numero uno, i rendimenti resterebbero alti o salirebbero. Il fatto che scendano indica che il mercato teme di più una frenata dell’economia che non prezzi fuori controllo.
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Messaggio implicito: “Ok, la Fed ha battuto l’inflazione… ma ora chi ci garantisce crescita?”. Finché questa domanda aleggia, gli investitori comprano Treasury (spingendo il rendimento giù) e vendono dollari, é il tipico riflesso difensivo.
Quindi...
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Industria USA sospesa: le fabbriche non tagliano drasticamente, ma non investono.
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Tariff-shock: rischia di peggiorare il quadro abbassando ancora la domanda globale.
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Mercati finanziari nervosi: preferiscono rifugiarsi nei bond (rendimenti in discesa) e ridurre l’esposizione a dollaro & risk-on finché non arriva un segnale di crescita solida.
È come avere tanta benzina nel serbatoio e il piede sul freno: l’energia c’è, ma le tensioni geopolitiche e i costi fissi più alti tengono l’economia bloccata a un semaforo che non diventa mai verde.
Il buco nero del basis-trade
La Fed conta oltre 600 miliardi di posizioni in leva (repo + future) sui Treasury. Alcuni fondi spingono la leva fino a 50-a-1 per guadagnare pochi centesimi sullo spread cash-future. Basta un soffio, l’asta va male, e parte la slavina. La BIS e la Financial Stability Report di aprile lo dicono senza giri di parole: queste scommesse sono «il tallone d’Achille» del mercato più liquido del pianeta. Homelinks.message.bloomberg.comHome
Per chi ama le curiosità: nell’asta decennale del 9 aprile 2025 l’indirect bid (aka banche centrali straniere) ha toccato l’87,9 %, record mai visto. Gli hedge, intanto, tenevano il fiato: sapevano che un bid-to-cover scarso avrebbe acceso il semaforo rosso sui margini. Reuters
Indirect bid al 87,9 %: chi sono questi “indirect”?
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In un’asta del Tesoro gli ordini arrivano in tre categorie:
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Direct – investitori che comprano direttamente, senza banche intermediarie.
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Indirect – in pratica banche centrali estere, fondi sovrani, qualche grosso gestore overseas che manda l’ordine “per procura” attraverso i primary dealer.
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Dealer – i primary dealer stessi, obbligati ad assorbire quel che resta.
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Se gli indirect prendono l’87,9 % del bottino, vuol dire che le casseforti straniere (PBoC, BoJ, Bundesbank & co.) hanno fatto incetta di titoli decennali USA. È un record storico, mai visto prima, e dice: “il mondo, nonostante i dazi, vuole ancora Treasuries”.
Bid-to-cover: il termometro dell’appetito
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È il rapporto fra offerta ($39 mld) e domanda totale arrivata in asta.
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Un valore intorno a 2,5 è buono; sotto 2 comincia a suonare il campanello; molto sotto 2 vuol dire che i dealer devono comprarsi la merce a forza, segnale di appetito scarso.
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Quel giorno il bid-to-cover è stato 2,67 – più alto della media – quindi asta “OK, respiriamo”.
Perché gli hedge erano in apnea?
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Molti fondi macro e CTA fanno il famoso basis trade: comprano Treasury cash, vendono future, e finanziano il pacchetto in repo (prestito a brevissimo garantito dai bond).
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Se un’asta esce fiacca:
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il prezzo del decennale scende → rendimento sale;
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i broker alzano i margini (garanzie) sul repo, perché il collateral – il Treasury stesso – vale di meno;
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i fondi devono buttare dentro cash o chiudere posizioni in fretta (fire-sale).
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Quindi stavano col fiato sospeso: un bid-to-cover debole avrebbe potuto far scattare richieste di collaterale extra e innescare liquidazioni a catena. Invece l’asta è andata forte e la slavina è stata rimandata. Reuters
Morale in parole povere
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87,9 % indiretti = banche centrali estere a caccia di rendimento (e forse dollari liquidi).
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Bid-to-cover robusto = domanda sana, niente allarme.
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Hedge fund tranquilli per ora, ma sanno che basta un’asta storta per far impennare i margini e trasformare il basis-trade in una pista di ghiaccio.
Fed & politica: polvere da sparo
Il bi-annual survey della Fed, uscito il 25 aprile, fotografa bene l’umore di Wall Street: rischi n°1? Guerra commerciale e incertezza di policy; l’indipendenza del Board non è più scontata, specie dopo i tweet presidenziali su un possibile “licenziamento” di Powell. Reuters
Tradotto: se il Congresso mette davvero mano al mandato dell’istituto, il “pilota automatico” della politica monetaria salta. E quando il mercato fiuta la mano del politico sui tassi… schiaccia il tasto “Sell”.
Bitcoin, halving e… freno tirato
Il 19 aprile 2024 la ricompensa si è dimezzata a 3,125 BTC per blocco. Storicamente, dopo l’evento il prezzo partiva per la tangente; stavolta pure. Dal picco a 109k , oggi il Realized Cap cresce di appena +0,9 % al mese, minimo da due anni. Gli analisti di Glassnode parlano di “liquidità interna che si sta prosciugando”.
Curioso: nel 2021 bastavano 100 miliardi netti per far correre BTC di dieci volte; oggi il network sopporta volumi sette volte più grossi, ma la spinta rialzista è tiepida. Segno che il mercato crypto è diventato adulto, e dipende sempre meno dal macro e dalla geopolitica.
Previsioni senza paracadute
2025 – l’anno della fibrillazione controllata
Tassi & deficit
Mettiamo subito le carte sul tavolo: se la Casa Bianca ridà gas alla spesa pubblica con nuovi tagli fiscali “pro-crescita”, il Tesoro dovrà vendere ancora più bond. Chi li compra vorrà essere pagato meglio. Morale: il rendimento del decennale USA può spingersi sopra il 5 % già entro l’autunno. Se succede, i fondi che giocano il basis-trade, cioè leva a 30-50X su Treasury finanziati in repo, rischiano richieste di garanzie extra e vendite a catena. Un terremotino possibile, non necessariamente un big-bang.
Stag-inflazione “light”
I nuovi dazi funzionano come una tassa occulta: fanno salire i prezzi delle importazioni ma, al tempo stesso, frenano ordini e investimenti. Con i tassi ancora alti la domanda interna resta fiacca. Il risultato potrebbe essere un CPI bloccato tra 3 e 4 %, una crescita del PIL che fatica a toccare l’1 %, e l’ISM manufatturiero che se ne sta sotto quota 50 per buona parte dell’anno: niente recessione profonda, ma nemmeno vera ripartenza.
Bitcoin a elastico
Finché il Dollar Index non scivola sotto 100 o la Fed non torna a fare da rete di sicurezza (il famoso “put”), la moneta digitale resterà intrappolata in un corridoio grosso modo 70-100 k. Attenzione, però: se sul mercato dei Treasury scatta un’ondata di panico, la narrativa “oro digitale rifugio” potrebbe far schizzare BTC per qualche settimana prima di una nuova frenata.
2026 – la linea del Piave
Scenario A – Ritorno alla ragione (probabilità circa 40 %)
Washington e Pechino firmano una tregua di facciata, i dazi rientrano almeno in parte, il Congresso smette di brontolare e la Fed difende il target di inflazione al 2 %. In questo contesto l’ISM può tornare sopra 52, il dollaro perde un po’ di forza e la propensione al rischio riprende vigore: l’S&P 500 ritocca i massimi storici, Bitcoin mette nel mirino quota 150 k.
Scenario B – Fed domata (intorno al 35 %)
La pressione politica vince, la Fed taglia i tassi troppo presto: l’inflazione rimbalza oltre 4 %, i rendimenti lunghi volano sopra 6 %. Gli investitori fiutano l’errore e scaricano obbligazioni e azioni; segue una breve recessione tecnica. Il dollaro si indebolisce in fretta e BTC, visto come scudo contro la svalutazione, potrebbe oltrepassare i 200 k – a prezzo di una volatilità da montagne russe.
Scenario C – Shock di liquidità (circa 25 %)
Un’asta del Tesoro va davvero male, i basis-trade saltano in blocco, la liquidità del repo-market evapora. Per tre mesi il sistema scricchiola: rendimenti che corrono, equity in caduta, margini che si impennano. A quel punto la Fed è costretta a un intervento-tappabuchi stile marzo 2020, magari un QE “flash”. Prima c’è la botta, poi un rimbalzo a V; Bitcoin fa lo yo-yo, crolla con il resto e rimbalza quando riappaiono i rubinetti di liquidità.
Morale operativa
Il 2025 è il terreno di prova: ci mostra fino a che punto il mercato può sopportare deficit in accelerazione e dazi generalizzati. Il 2026 decreterà se il sistema si rimette in carreggiata o se serve un altro salvataggio d’emergenza. Restare liquidi, tenere d’occhio il decennale USA e non sottovalutare il potere delle aste del Tesoro, ecco, in questo momento, la vera forma di prudenza.
Come muoversi senza farsi male (consigli spicci, niente ricette magiche)
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Taglio la zavorra sui Treasury lunghi. Finché gli hedge fund restano iper-levati e il deficit federale non dà segni di dieta, i bond americani con scadenze oltre i sette anni sono il punto più esposto: riduco al minimo.
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Guardo ai bond di qualità in Europa o in Asia. Le obbligazioni investment-grade di quei mercati soffrono meno ingerenze politiche e hanno curve più regolari: rendimenti inferiori, sì, ma rischio istituzionale ben più basso.
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Mantiengo cassa ultra-corta e un po’ di oro fisico. T-bill a tre mesi per parcheggiare liquidità prontamente spendibile, qualcosa in deposito al 3-4% + qualche moneta d’oro per lo scenario “black-out”: due riserve di carburante da usare quando il mercato va in svendita.
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Cripto solo in modalità tattica. Compro a pezzi nei crolli superiori al 30%; alleggerisco senza esagerare se il prezzo rimbalza più dell’80%. Così trasformo la volatilità da nemica a fonte di rendimento.
Se c’è una lezione che la storia ci rinfaccia è la seguente: ogni volta che la leva sale più in fretta della prudenza, serve un pretesto, qualsiasi, per far saltare il banco. Nel ’98 fu il default russo, nel 2008 i subprime, nel 2020 un virus. Oggi la miccia ha due teste: dazi e deficit. E un man con ego smisurato.
Il mercato dei Treasury, 29 trilioni di dollari di playground, sembra solido finché gli hedge fund restano in carreggiata. Ma sono gli stessi che possono trasformare un’asta tiepida in un incendio. La Fed lo sa, lo ripete nei suoi report, eppure la politica continua a fare pressing perché i tassi scendano. È come chiedere al vigile del fuoco di lasciar bruciare un po’ di più la foresta per far crescere l’erba.
Dall’altra parte, Bitcoin aspetta il solito miracolo della serie "quando il sangue scorre sulle strade...". Stavolta però la fiaba funziona solo se riparte il ciclo macro: senza liquidi freschi l’oro digitale resta un metallo in vetrina. E non dimentichiamo che la cosa più noiosa del mondo, l’ISM sotto 50, è la vera serratura che blocca tutti gli altri ingranaggi.
Quindi, che fare? Personalmente tengo una scorta di contante corto, qualche manciata di oro fisico (non le “comode” ETC, proprio le monete), un pizzico, anche 2 pizzichi di BTC giusto per non restare fuori se parte il razzo, e la voglia di premere “buy” sui listini europei solo quando vedrò davvero gli Stati Uniti rientrare con il deficit e mollare la sciabola dei dazi.
Non è coraggio, è semplice sopravvivenza da orso spelacchiato: restare liquidi, fregarsene dei FOMO party, infilarsi quando gli altri vomitano.
Il 2025 ci porterà probabilmente scosse di assestamento; il 2026 sarà l’anno in cui scopriremo se abbiamo ancora un’architettura finanziaria degna di questo nome o solo un gran castello di sabbia bagnato dal mare della politica. In fondo, ed è qui che la storia torna utile, i disastri veri arrivano sempre quando tutti pensano di aver già visto il peggio. Meglio tenere il casco a portata di mano.
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